E’ appena uscito in edicola un numero speciale della rivista semestrale “Focus Storia” – collection, n. 3, Primavera 2013 , dal titolo “Il secolo d’oro dell’Opera italiana”. Due pagine dell’interessante rivista (pp. 76-77) sono dedicate a Tito Schipa con bellissime immagini ed un’intervista di Flavia Piccinni all’Ing. Gianni Carluccio (Responsabile dell’Archivio Tito Schipa e parente del tenore leccese), con un intervento del M.o Tito Schipa Jr., al quale è dedicata anche una parte della sezione dal titolo “Noi, nipoti della Lirica” (p. 142).
* La preziosa rivista è consigliabile a tutti, anche a chi si voglia accostare per la prima volta all’Opera lirica. L’intervista integrale all’Ing. Gianni Carluccio dovrebbe essere ospitata, a cura della giornalista e scrittrice Flavia Piccinni, su cortocircuiti-bari.blogautore.repubblica.it .

FOCUS STORIA, p. 142, “Noi, nipoti della Lirica” di Aldo Carioli.

La copertina della rivista semestrale FOCUS STORIA – Collection, Primavera 2013.

da NUOVO QUOTIDIANO DI PUGLIA, CULTURA & SPETTACOLI, 29.5.2013, p. 28, di Eraldo Martucci.

… ed ecco il testo integrale della mia intervista rilasciata x Focus Storia, che pubblico oggi, lunedì 1 Luglio 2013. G.C.

INTERVISTA DELLA DOTT.SSA FLAVIA PICCINNI
ALL’ING. GIANNI CARLUCCIO,
RESPONSABILE DELL’ARCHIVIO TITO SCHIPA *.

Se dovesse raccontare Tito Schipa a chi non l’ha mai sentito nominare, attraverso le tappe più importanti della vita e della carriera, cosa direbbe?

Per far capire sinteticamente chi è stato Tito Schipa nel mondo, basterebbe citare quello che di lui hanno detto due suoi famosi colleghi, Beniamino Gigli: “Quando canta Tito Schipa noi tutti dobbiamo inchinarci davanti alla sua grandezza” e Luciano Pavarotti: “Tito Schipa è il Signore dei Signori; lui è anche un Compositore e Direttore d’orchestra, io no”. Il repertorio di Tito Schipa comprendeva 46 opere; tra le più rappresentate ricordiamo: Il Barbiere di Siviglia (più di cento volte); L’Elisir d’amore; La Traviata; Lucia di Lammermoor; Manon; Werther e Rigoletto. Il celebre tenore, in ben 55 anni di carriera, ha effettuato 760 esecuzioni di opere complete (escludendo le repliche!) e circa 900 concerti esibendosi in pubblico quasi 3.000 volte (in tutto il mondo e cantando in nove lingue), con una media di un’esibizione a settimana; l’indice dei suoi ‘partners artistici’ conta addirittura 750 nomi! La raccolta discografica completa di Tito Schipa, comprendente più di 300 incisioni dal 1913 al 1957, è stata recentemente raccolta in 31 CD, grazie all’opera del Rev. Americano Richard A. Cantrell e pubblicata nel 2010 dalla casa discografica leccese Nireo.
Tito Schipa nasce a Lecce il 27 Dicembre 1888; dopo gli studi classici presso il Seminario Vescovile, debutta a Vercelli con la Traviata nel febbraio del 1909; in seguito canta a Lecce, a Roma e a Milano; poi all’estero, soprattutto in America Latina, dove riscuote grandi successi, diventando il tenore italiano più conosciuto e amato dal pubblico. Nel 1914 è al Teatro S. Carlo di Napoli dove ottiene i primi trionfi (21 repliche della Tosca, con articoli celebrativi di Matilde Serao); l’anno successivo è ancora a Milano, prima al Dal Verme, diretto da Arturo Toscanini, che lo definisce l’Usignolo d’Italia, poi alla Scala, dove si esibirà, in seguito, più di cento volte, riscuotendo enormi successi. Nel 1917 canta a Madrid, alla presenza dei Sovrani, che rimangono affascinati dalla sua voce e lo tratterranno a lungo come ospite. Dalla Regina riceve preziosi regali e dal Re la Commenda Spagnola ed ancora oggi il ricordo dell’Encantador (così lo definivano gli spagnoli) è tale che a Barcellona, nella celebre Casa Milà, progettata dall’architetto spagnolo Antoni Gaudì, sul grammofono a tromba è posato un disco a 78 giri con un’ Ave Maria cantata da Schipa. Nel 1917 viene scelto da Giacomo Puccini per la prima mondiale de La Rondine a Montecarlo e racconta la moglie del compositore che il marito pianse per la commozione, dopo aver ascoltato cantare Schipa. Sempre a Montecarlo, l’anno successivo incontra la sua futura moglie Antoinette Michel d’Ogoy (detta Lily), nota ballerina dell’opera di Parigi, considerata tra le donne più belle di Francia, dalla quale avrà due figlie: Elena (1922) e Liana (1929).
Nel 1919 viene scritturato stabilmente a Chicago (dal 1919 al 1932), divenendo, dopo la morte di Caruso, il tenore più amato e pagato dal pubblico americano. La mattina di Pasqua del 1925 canta nel Bowl di Hollywood davanti a 50.000 persone; nel febbraio 1927, a San Francisco dopo una memorabile recita davanti a 7.000 persone, viene proclamato dalla critica il più grande cantante al mondo! A maggio dello stesso anno, al Concerto tenuto presso la Queen’s Hall di Londra, sono presenti i Sovrani inglesi. Il 30 aprile 1929 a New York viene eseguita per la prima volta la sua operetta La Principessa Liana ed il giorno dopo c’è la presentazione dei suoi cinque cortometraggi, voluti da Samuel Goldwyn per la Paramount, che valgono a Tito un contratto di ben 200.000 $, con i quali acquista una stupenda villa a Beverly Hills, tra i divi del cinema, suoi amici, Charlie Chaplin, Greta Garbo, Joan Crawford, Gloria Swanson, Frank Sinatra e Gregory Peck. Ma rapporti più stretti di amicizia intercorrono con la famiglia del conterraneo Rodolfo Valentino e con la mitica coppia Douglas Fairbanks e Mary Pickford. Il 22 Giugno 1929 la sua operetta, scritta in onore della figlia Liana, viene proposta a Roma, in versione ufficiale, tra il delirio del pubblico quando l’artista canta il suo celebre tango El Gaucho.
In occasione del matrimonio di Umberto e Maria Josè di Savoia, Tito Schipa, per volontà della famiglia reale, viene invitato a cantare a Roma. Tito reciterà mirabilmente nel Don Pasquale il 10 Gennaio del 1930, alla presenza di “un pubblico di Re e Principi”, come egli stesso racconterà alla stampa. Il mese successivo, non appena tornato negli U.S.A., ha un altro grande privilegio: quello di essere invitato dal presidente degli Stati Uniti d’America, Herbert C. Hoover, ad esibirsi alla Casa Bianca di Washington. Il 24 Novembre 1931, presso il Teatro dell’Opera di Parigi gli viene conferita la massima onorificenza francese, “Cavaliere della Legione d’Onore”. In questa occasione, Tito Schipa viene presentato dalla stampa come il più grande tenore al mondo. Negli anni ’30 intensifica la sua presenza in Italia cantando spesso a Roma (Teatro Reale dell’Opera) e a Milano (Teatro alla Scala), con recite che rimarranno immortali. Racconta il figlio Tito Jr. che nel 1936 “alla patria che chiedeva oro per le sue bizzarre imprese coloniali, Tito Schipa, sotto gli occhi allibiti del pubblico della Scala, consegnò un cofanetto con sette chili di lingotti d’oro!”.
Nel 1932 Schipa è il protagonista di uno dei primi film sonori italiani: Tre uomini in frak, con Milly ed i fratelli Eduardo e Peppino De Filippo. Il successo è enorme, la pellicola risulta oggi introvabile; subito dopo viene scritturato dal Metropolitan di New York, dal 1932 al 1935, ottenendo trionfi indimenticabili. In Sud America Tito compone musica, incide dischi e si esibisce in radio e in televisione e nel 1934, a Buenos Aires, vive un’indimenticabile esperienza, quella del mitico “duetto” con il Cardinale Pacelli (futuro Papa Pio XII), nel corso del 32° Congresso Eucaristico Internazionale, con le voci registrate in un rarissimo disco a 78 giri della Victor Argentina.
Negli anni 1936–1937 girerà, in coppia con Caterina Boratto, i suoi due film più famosi: Vivere! e Chi è più felice di me?; grande successo in tutto il mondo e …grande e folle amore per Caterina, che tenterà anche la fortuna a Hollywood. Rientrato negli U.S.A., dopo una storica esibizione nel Don Giovanni di Mozart al Metropolitan (radiotrasmessa nel 1941) ed alcune recite in Brasile, si trasferisce definitivamente in Italia, dove continua ad esibirsi nei più importanti teatri. Nel 1944, subito dopo il burrascoso ed improvviso addio della Boratto, conosce a Venezia un’altra bellissima donna, l’attrice Teresa Borgna (in arte Diana Prandi), che sposerà dopo aver ottenuto il divorzio da Lily e dalla quale avrà Tito Jr., che nasce a Lisbona il 18 aprile 1946.
A fine carriera nel 1954 si esibisce a Buenos Aires davanti a più di 500.000 persone e nell’agosto del 1957 canta in un applauditissimo Concerto presso il Conservatorio di Mosca, dove è invitato in occasione del 1° Festival Internazionale della Gioventù, ricevuto da Bulganin e Krusciov. Dopo l’avvento della televisione in Italia, Schipa, che risiede stabilmente a Roma, viene fatto oggetto di attenzione da parte dell’E.I.A.R. e riceve anche il Premio Oscar Nazionale “Maschera d’Argento”, inoltre intrattiene rapporti con il mondo dello spettacolo e con le Istituzioni; spesso è ricevuto anche in Vaticano dal Papa. Successivamente intensifica l’attività concertistica che lo vede attivo fino al 1963; nel 1964, al termine di una carriera straordinariamente lunga e fortunata, apre una scuola di canto a New York, dove muore il 16 dicembre del 1965.

Esiste un Tito Schipa legato alla carriera musicale e uno privato, privatissimo. Ci può raccontare un episodio poco conosciuto legato ad entrambe le sfere (quella privata e quella pubblica)?

Un episodio quasi sconosciuto legato alla carriera musicale del tenore leccese riguarda il suo primo vero trionfo, che ha luogo alla Fenice di Trieste in occasione della prima rappresentazione della Favorita (31.8.1912). Di questa esibizione gli rimane per tutta la vita un ricordo vivissimo ed incancellabile. Finita la recita, dopo essersi tolto il trucco e mutato d’abito, si dirige verso l’uscita del teatro dove l’impresario Borboni (il padre della famosa attrice Paola) lo avverte che nella strada lo attendono centinaia di persone, per la maggior parte donne. Questa folla si precipita incontro a Schipa per stringergli la mano, con tanta irruenza, che quasi ha paura, tanto da essere costretto ad invocare l’aiuto del Borboni, perduto di vista in mezzo alla confusione; l’impresario, a furia di spintoni, riesce a ricondurlo incolume in teatro. Dopo qualche minuto, scortato da due poliziotti, prova ad uscire per prendere una carrozza ma la folla è ancora lì e insiste nell’accompagnarlo a piedi fino all’albergo, per le vie di Trieste.
Un episodio triste, che riguarda la sfera privata, è la fine dell’amore con Caterina Boratto, che Tito conosce nel 1936, sul set del celebre film ‘Vivere !’, innamorandosene pazzamente. Con lei interpreterà l’anno successivo anche il film ‘Chi è più felice di me ?’, ed a lei dichiara ufficialmente il suo amore, al termine di una famosa recita del Werther presso il Teatro Reale dell’Opera di Roma (16.3.1938). Così dice la Boratto (in seguito riscoperta da Federico Fellini con Otto e mezzo e Giulietta degli spiriti) nella biografia Il battello dei sogni: “Dopo qualche giorno andai ad ascoltarlo per la prima volta in Werther all’Opera di Roma e ne riportai un’impressione sconvolgente. Egli non recitava il personaggio, era Werther. Nessuna registrazione è in grado di trasmettere l’emozione che si provava vedendolo sul palcoscenico e percependo il suo smarrimento di fronte all’amore e alla morte. Con l’aria del III atto, Ah non mi ridestar, Oh soffio dell’April, agguantava il pubblico, lo ipnotizzava, lo seduceva, senza teatralità, nel massimo dell’eleganza e del rigore. In scena diventava il più desiderabile degli amanti. E io ne ero rapita. A me si dichiarò quella sera. Per la prima volta mi diede del tu. Mi disse: «Non hai capito che canto solo perché tu esisti? Mi sono innamorato di te fin dal primo momento, ma non volevo che tu facessi del cinema. Sono stato quasi crudele. Non sei una come le altre. Volevo rapirti, farti diventare una regina»”.
E Caterina: “Avrei dovuto dirgli che l’ammiravo in modo sconfinato, ma che non avrei mai potuto amarlo. Invece, in qualche modo, lasciai che l’equivoco prendesse forma, lusingata, inebriata. «Non posso essere l’amante di nessuno» risposi, ma «solo di chi sposerò». Dopo questa frase lapidaria feci per andarmene, ma lui, ridendo, mi bloccò: «Ascolta, non voglio sempre lottare per starti vicino. Sceglierò la strada più difficile, non la mia solita. Ne sono quasi contento. Altrimenti tutto si rovinerebbe, scivolerebbe nella banalità, come mi è successo altre volte. Un giorno sarà il mio canto ad incontrare le tue parole». Mi sentii al centro di un evento romanzesco, acconsentii e così nacque il più impossibile degli amori ”. Ed infatti, sei anni dopo, l’amore impossibile finisce!
Il 16 Gennaio 1944 Tito e Caterina si esibiscono in Concerto a Bologna, ma in Aprile (proprio come nel Werther: Ah non mi ridestar, Oh soffio dell’April) arriva a Solignano (Modena), nella splendida tenuta di proprietà del cantante leccese, dove vivevano Schipa e la Boratto, una lettera di un caro amico di Caterina, Armando Ceratto, che la invita a trovare rifugio presso di lui a Torino e le dà appuntamento al Teatro Carignano, dove Tito sarebbe stato impegnato nel Don Pasquale. Così il 17 Aprile Caterina, il cui rapporto con Tito era entrato in crisi, prende la decisione di abbandonare definitivamente l’artista, sposando Armando. Il giorno seguente seppi da Armando – dice Caterina – che Tito, tornando in albergo e trovando la lettera che gli annunciava il mio abbandono, aveva distrutto a pugni i mobili della mia stanza, portato via ogni ricordo. Una pagina della mia vita si era chiusa per sempre. Non lo rividi più. E poco tempo dopo, l’11 giugno 1944, un Tito Schipa, arrabbiatissimo per l’abbandono da parte di Caterina, scrive da Modena a Mino Doletti, Direttore della rivista FILM: “Caro Doletti, vuoi sapere qual è il Film che vorrei fare? Non esiste nessun Regista, nessuna Casa Produttrice che potrebbe accontentarmi: perché vorrei fare il FILM sull’ONESTA’ e sulla SINCERITA’. E questo FILM NON si farà mai, perché non esiste né onestà né sincerità in questo basso, porco mondo”! Fortunatamente per Tito negli stessi mesi spuntava un nuovo amore: Diana, la sua seconda bellissima moglie.

Qual era l’opera a cui era più legato Tito Schipa? Perché?

Certamente l’opera cui era più legato Tito Schipa era il Werther, dramma lirico in quattro atti del compositore francese Jules Massenet, su libretto tratto dal notissimo romanzo epistolare I dolori del giovane Werther di Goethe. Quest’opera, dalla musica straordinaria (come del resto quella di Manon, composta dallo stesso autore), era la preferita di Schipa, che la studiò accuratamente durante un suo soggiorno in Francia, tenendola costantemente sul suo comodino. Il tenore leccese la eseguirà nel corso della sua eccezionale carriera ben 43 volte, sia in lingua italiana che in francese, nei teatri più prestigiosi al mondo: dall’esordio al Teatro Quirino di Roma nel 1911, fino all’ultima esecuzione al Palais de la méditerranée di Nizza nel 1953, con recite memorabili in Spagna, Portogallo, Argentina, Brasile, a San Francisco (1935) e naturalmente in Italia, alla Scala di Milano (1934, ‘35, ‘38), al Teatro Reale dell’Opera di Roma (1936, ‘38, ‘42, ‘43, ‘48, ‘50), al San Carlo di Napoli (1937), al Teatro del Casinò di Sanremo (1939) e due volte anche presso il Teatro Politeama Greco nella sua Lecce (1935 e 1950).
La figura del protagonista, il giovane Werther, impersonato sempre magistralmente da Schipa, acquistava il fascino d’una sognante malinconia espressa attraverso un gioco inimitabile di pianissimi, smorzature, filature, senza mai scadere, peraltro, nel lezioso. Scrive il noto critico musicale Rodolfo Celletti: “Uno dei segreti del successo di Schipa è stata l’arte di esprimere il dolore, lo schianto, con una voce estenuata, dalle inflessioni sottilissime e dalle vaporose smorzature. Il timbro stanco e smarrito di cui si avvaleva negli ultimi due atti di Werther era, come tutto, del resto, in lui, un prodigio di naturalezza e d’artificio. Sul fondo opaco che caratterizzava il suo impasto nel settore basso e all’inizio del medium, si stagliavano con penetrante nitidezza le tragiche parole del protagonista, tanto più impregnate di drammaticità quanto più attenuate nel suono. Quello non era più lo Schipa che fletteva la voce o la filava o la modulava soltanto per obbedire al senso della frase, ai consigli dei direttore d’orchestra o al perentorio esempio di predecessori famosi, ma un cantante che aveva pressoché sovvertito lo statuto dell’ordine tenorile e svuotato di contenuto effetti collaudatissimi, valori tradizionali, vezzi ormai secolari, per imporre con insinuante prepotenza la propria concezione del canto”. “La voce di Schipa – scriverà un altro noto critico musicale, Franco Chieco – ha un timbro singolarissimo, è una voce unica, di una bellezza inconfondibile per la dolcezza dello smalto, la tenerezza delle inflessioni, la freschezza dei toni, la morbidezza dei suoni, la suggestione della carica emotiva. E’ una voce che poggia su una tecnica eccezionalmente salda, una voce che sotto un velo di accorata malinconia nasconde un impenetrabile segreto. E Schipa resta uno, insuperabile, insuperato. Ma Schipa non è soltanto il più grande tenore di grazia del mondo mai esistito. E’ musicista fervido, colto, ha un’anima ultrasensibile al richiamo dello spirito. Ha studiato composizione e compone molta musica sacra e profana. Egli è veramente un artista completo”.

Qual era il suo motto (se ne aveva uno)?

Tito Schipa, come ricorda il figlio Tito Schipa Jr., spesso citava il noto motto: “Ognun dal proprio còr l’altrui misura”. Tra l’altro, per restare nel campo musicale, il cantante leccese era solito raccomandare agli allievi di non forzare mai la voce e di pronunciare ben chiare le parole, in maniera che il pubblico capisse le frasi cantate. Non dovrebbe mai accadere, diceva Schipa, che chi ascolta dica: « Che bella voce! ma che sta dicendo ? ». Cantando bene e pronunciando meglio, il successo può essere completo.

Per lei chi era e chi è Tito Schipa?

Tito Schipa per me è stato per tanti anni semplicemente il cugino famoso di mio nonno, Realino Schipa, al quale aveva donato una foto con dedica del 1950, che rappresenta per me il primo importante ricordo. In effetti a 10 anni, quando l’ho conosciuto in Piazza Sant’Oronzo a Lecce, quasi mi incuteva un po’ di paura, nel suo perfetto completo bianco, seduto ai tavolini del Caffè della Borsa, da dove si godeva le esecuzioni delle bande musicali, in occasione della festa del patrono della città Sant’Oronzo. Ricordo che ascoltai con commozione una sua indimenticabile interpretazione dell’Ave Maria di Schubert, che tra l’altro mio nonno mi aveva insegnato a cantare e ricordo anche che mi firmò un autografo su di un fazzoletto bianco. Oggi quell’Ave Maria si ascolta ogni domenica nella stessa piazza.
Tutto è cambiato invece da quando nel 2000 suo figlio Tito Schipa Jr., autore tra l’altro di un’opera immortale qual è Orfeo9, mi ha permesso di diventare il Responsabile dell’Archivio di Famiglia. Da quel momento Tito Schipa è diventato giorno dopo giorno, parte di me stesso, tanto che mio cugino Tito Schipa Jr. mi ha chiesto di curare la pubblicazione dell’importante volume Tito Schipa, da lui magistralmente scritto ed edito a Lecce da Argo; il volume si compone di 450 pagine, è corredato da 300 immagini e da varie sezioni, con il repertorio, la cronologia delle esibizioni, discografia, filmografia e con una sezione dedicata all’Archivio Schipa, che è stato il mio primo lavoro. Successivamente nel 2007 ho pubblicato per Manni Editore il volumetto dal titolo “Tito Schipa, un leccese del mondo”, che consente anche attraverso 100 immagini di avere una rapida idea di chi sia stato Tito Schipa nel mondo.

* Permettetemi di dedicare questa intervista a mia madre Silvana Schipa, scomparsa il 17 Marzo 2013, che Tito Schipa Jr. ha voluto ricordare in un articolo comparso sul Nuovo Quotidiano di Puglia del 19.3.2013 e riportato sia sul sito ufficiale della famiglia Schipa: www.titoschipa.it , che sul mio sito personale: www.giannicarluccio.it , che contiene una sezione dedicata a Tito Schipa.

Lecce, 27 Marzo 2013
Ing. Gianni Carluccio
Responsabile Archivio Tito Schipa