La storia della Basilica di Santa Caterina di Galatina è legata alla famiglia dei del Balzo Orsini, conti della vicina città di Soleto. Gli Orsini, nella seconda metà del XIV sec., estendevano il loro dominio sul principato di Taranto, sulla contea di Lecce, e su molte altre città del Regno. Ugo del Balzo d’Orange, arrivato nel Salento al seguito di Carlo d’Angiò, ricevette da questi, per i servigi resi alla corona, la Contea di Soleto, che comprendeva il territorio di Galatina. Si deve al nipote Raimondello (dal 1385 conte di Lecce, in seguito al matrimonio con Maria d’Enghien, e dal 1399 Principe di Taranto, per volere di Ladislao di Durazzo, re di Napoli) la realizzazione complesso edilizio cultuale che comprendeva, oltre alla chiesa di S. Caterina (i cui lavori si protrassero dal 1383-85 fino al 1391), anche un Convento francescano ed un Ospedale per i poveri.
Nel complesso edilizio religioso di S. Caterina si intrecciano potere e ricchezza feudale con prestigio politico e forte spinta religiosa, che venne sollecitata dai fedeli non ellenofoni di Galatina, che richiedevano all’Orsini una concreta tutela dei propri bisogni di culto; ma dietro alla strategia del rilancio della latinizzazione del culto, Raimondello di fatto istituì un vero e proprio “pantheon” delle memorie orsiniane.
Notizie indirette sulla costruzione della imponente chiesa sono deducibili da quattro bolle pontificie dove vengono anche citati i due importanti edifici annessi alla chiesa; due furono le bolle di papa Urbano VI (1378-1389), entrambe del 1385 (una indirizzata al Ministro dell’Ordine dei Francescani della Provincia di Calabria e l’altra a Raimondello), e due del suo successore Bonifacio IX (1389-1404), del 1391 e 1403. Il progetto del complesso monumentale fu favorito prima da Urbano VI, che contribuì anche economicamente alla costruzione (Raimondello aveva difeso il papa in un momento di grave spaccatura della cristianità e per questo fu nominato “gonfaloniere della Chiesa e protettore nel regno di Napoli delle bandiere papali”) e poi da Bonifacio IX, che tra l’altro era di origini salentine (il suo nome era Pietro Tomacelli, battezzato nella chiesa di S. Maria della Croce in Casaranello), che lo riconfermò nello stesso prestigioso ruolo.
Nel 1391 Bonifacio IX sostituì i Francescani conventuali della Provincia di Calabria con i Francescani osservanti della Vicaria della Bosnia in Jugoslavia (a quella data erano già stati realizzati chiesa e convento) e nel 1403 conferì a Raimondello e ai suoi eredi lo jus patronatus sul complesso chiesa-convento-ospedale, legandone per sempre il destino agli Orsini del Balzo.
Alla morte di Raimondello (1406) i lavori furono portati avanti dalla vedova Maria d’Enghien, divenuta nel frattempo regina di Napoli (per aver sposato in seconde nozze il re Ladislao di Durazzo), alla quale si deve la decorazione pittorica dell’interno della Basilica ed il cenotafio del marito. Il governo del principato fu poi esercitato dal figlio Giovanni Antonio ed alla moglie di questo, Anna Colonna (nipote del papa Martino V), si deve il completamento degli affreschi; tra l’altro Martino V pare sia raffigurato sulla vela centrale della volta della II campata, dedicata alla simbologia della Chiesa.
La storiografia sembra essere concorde nell’attribuire a Giovanni Antonio la tribuna che chiude la basilica ed il campanile che sarebbero stati realizzati tra il 1440 e il 1460. Il coro, a base ottagonale, prosegue con sette grandi finestre (cinque delle quali sono aperte e due murate in seguito alla ricostruzione del convento avvenuta fra il 1655-57) ed è coperto da volta costolonata. Giovanni Antonio lo avrebbe aggiunto probabilmente per preparare, in fondo alla nuova abside, il luogo per il suo monumento sepolcrale, secondo un modello tipico della corte angioina (si vedano come importante esempio i monumenti funerari presenti nella basilica di San Giovanni a Carbonara a Napoli) e, del resto, già attuata nella stessa basilica orsiniana con la originaria collocazione centrale del sepolcro di Raimondello, che chiudeva in origine il presbiterio.
L’intervento del principe è ampiamente attestato sulle cortine della tribuna dalla presenza degli stemmi di famiglia sull’esterno ed all’interno delle vele; quella degli stemmi dei del Balzo, degli Orsini, dei Brienne, degli Enghien, dei Colonna e dei Clermont, ripetutamente raffigurati all’interno della chiesa, rappresentava un vero e proprio manifesto ideologico del potere feudale degli Orsini, che si unisce a quello dei francescani che ressero il complesso religioso fino al 1494, quando gli Aragonesi lo affidarono ai monaci Olivetani (1494-1507), con il titolo di Basilica Reale: cominciò allora un nuovo periodo fioritura per il sacro complesso.
Nella didascalia riportata sul lato sinistro dell’altare è scritto: “Altare di Santa Caterina d’Alessandria (sec. XVI – Nicolò Ferrando). Statua della Santa in pietra leccese con la ruota del martirio che sovrasta Alfonso d’Aragona duca di Calabria. Alla sommità dell’altare la figura di un monaco. Sulla facciata della mensa, al centro, il paliotto con lo stemma francescano”. Da altra fonte, confermata da Padre Antonio Febbraro, ofm, già Rettore della Basilica, recupero la seguente informazione: “A imperitura memoria del passaggio olivetano a Santa Caterina d’Alessandria fu sancito solennemente che dovesse rimanere in perpetuo l’altare di San Benedetto, eretto nel 1496, mentre i Francescani di fronte ad esso ne innalzarono un altro dedicato alla vergine alessandrina raffigurata con la ruota del martirio in atto di schiacciare l’inviso re che li aveva ingiustamente depauperati: Alfonso d’Aragona”.
LE DESCRIZIONI DEL GALATEO E DEL PADRE BONAVENTURA DA LAMA
Uno dei primi ricordi della chiesa di S. Caterina, definita di grande bellezza e rassomigliante a quella omonima situata ai piedi del Monte Sinai, è dovuto al frate Agostino da Ponzone che giunse a Galatina il 18 dicembre del 1487, proveniente dal borgo di Casalnuovo (oggi Manduria). Il frate segnala, tra l’altro, la presenza di alcune delle reliquie tuttora esistenti e ci informa che a Galatina era forte la presenza della comunità ellenofona.
Il primo noto scrittore locale ad interessarsi al monumento fu Antonio De Ferrariis, detto il Galateo, che nel suo “De situ Iapygiae” (scritto nei primi anni del ‘500 ed edito a Basilea nel 1558), a proposito di Galatina, così scrive: “ha una chiesa molto ampia e bella, dedicata a S. Caterina, fatta costruire da Raimondo Orsini, principe di Taranto, insieme con un ospizio per forestieri e con alcune costruzioni fortificate, sul modello, dicono, della chiesa di S. Caterina sul monte Sinai, nella quale il principe, insigne per la sua carità e i suoi sentimenti religiosi, fece il voto di costruire una chiesa, nella quale, tra l’altro, si trovano le tombe della famiglia Orsini che governò S. Pietro [Galatina] per molti anni”.
Nel 1597 i Padri Minori Riformati presero possesso del complesso religioso, demolirono il precedente convento erigendone uno nuovo (intorno al 1657), staccato dall’ospedale e addossato alla navata di sinistra della chiesa, che perciò risultò quasi priva di luce; al piano terra venne costruito un cortile porticato intorno al quale trovarono posto le stanze conventuali ed il refettorio. Al 1655 risale la costruzione della nuova sagrestia, realizzata sul lato sinistro della quarta campata, essendo stata abbattuta la primitiva in seguito alla costruzione del convento. Nel 1696 il frate Giuseppe da Gravina mise mano alla decorazione del quadriportico (una sua firma è presente sul primo pannello dipinto). Il ciclo illustra scene della vita dei santi Francesco e Antonio da Padova e altri santi e martiri francescani, figure allegoriche delle Virtù e insegne araldiche di famiglie nobili locali, committenti della decorazione pittorica.
Nel settecento si interessa al monumento il padre Bonaventura da Lama che nella sua “Cronica de’ Minori osservanti Riformati della Provincia di S. Nicolò” (Lecce, 1723-24) scrive che Raimondello “radunata gran gente, andò nell’Asia, combattendo a favor de’ Cristiani nove anni continui con molta sua gloria. Qui visitando la Chiesa del Monte Sinai, che stà in potere de’ Monaci Basiliani, ove riposa il Corpo di Santa Caterina Vergine e Martire, orando trè giorni con abito di penitente; nel partirsi baciò la mano alla Santa, e con Santo ardire strappò co i denti quel dito, che teneva l’anello, donatoli da Cristo, quando la sposò, l’accomodò sopra l’orecchio, covrendolo, per non essere visto, co i capelli”.
La chiesa fu officiata dai Riformati Osservanti della Provincia pugliese di San Nicolò fino al 31 dicembre 1866, quando i conventi furono soppressi ed i beni incamerati dal governo del nascente Regno d’Italia.
L’ATTENZIONE DA PARTE DEL DUCA CASTROMEDIANO
Comincia in questo periodo l’attenzione verso il monumento da parte della Commissione Conservatrice dei Monumenti Storici e di Belle Arti di Terra d’Otranto, presieduta dal duca Sigismondo Castromediano, che ebbe un ruolo importante anche per la costituzione a Lecce del Museo Provinciale, che oggi porta il suo nome.
Scrive il duca nella relazione presentata al Consiglio Provinciale nel 1870 (Lecce, tip. Editrice Salentina, 1871): “In S.a Caterina di Galatina esiste abbandonato, qua e colà balzato, e sempre più decadente un altare di legno intagliato e dello stesso stile gotico della Chiesa — Era il bell’altare maggiore d’una volta, al quale fu poi sostituito il barocco che al presente vi ha. — Per l’amore e il dovere di conservarlo la Commissione proponeva a quel Comune di depositarlo nel Museo Provinciale, e ritirarselo quindi a piacimento. — Fu risposto che non occorreva amuoverlo, andandosi pensando dal Municipio a conservarlo” (p. 6).
Ed ancora scrive: “Così fu pure che si scrisse al Sindaco di Galatina per sapere dello stato di quella nobilissima Chiesa detta di S.a Caterina. Lagrimevole risposta! Lo scoppio d’una folgore nel 10 ottobre del 1867 aveva atterrato parte del suo frontone esterno, e quello d’un’altra doppia folgore nel 19 stesso mese disperse in minutissimi pezzi porzione del culmine del suo campanile, le campane del quale anche scompose. Poscia discese nell’interno del tempio e avendo forato volte e pareti v’abbattè porte e finestre , e staccovvi parte del Cenotafio dei Principi Balzo-Orsini fondatori. — Quel Municipio restaurò alcuni dei danni , cioè la sommità della facciata e del campanile, e raccolse gli avanzi del Cenotafio, che conserva. Altri danni vi restano, cioè le buche forate dalle folgori, le fenditure rispondenti alla quarta sezione della Chiesa verso il maggiore altare, e lo scrostamento dell’intonaco a buon fresco pitturato in punti parecchi. S’è fatto rapporto dalla commissione al Ministero per ottenere un sussidio a fine di compiere codesti restauri, ma nulla s’è avuto” (p. 9).
Alle pagine 13-14 il Castromediano ci fornisce un’altra importante notizia: “Il Ministero della Pubblica Istruzione con suo foglio del 6 marzo 1870 chiedeva d’essergli indicati con nota particolareggiata gli edifizi ed i monumenti pubblici e privati della provincia, i quali per arte, per antichità e storiche memorie potessero essere annoverati fra i nazionali. A me dai miei Colleghi finalmente fu dato l’onore di rispondere. Dei diciassette monumenti disegnati quel Ministero ebbe ad accettarne dodici, come con suo foglio si compiacque poscia notificare, e sono i seguenti: di prima Categoria — S. Nicola al camposanto di Lecce, il Monolite di Giuggianello, la cattedrale di Otranto (pavimento a mosaico), e la S. Caterina di Galatina; di seconda Categoria — La Centopietre di Patù, S. Giovanni al sepolcro di Brindisi, e la Guglia o Torre quadrata di Soleto. … Si spera che anche il Parlamento Nazionale li accolga per legge”. Due anni dopo il Ministero classificò la basilica come Monumento Nazionale di prima categoria (1872).
Nello stesso anno nella sua consueta relazione il Castromediano scrive ancora: “In un’altra delle nostre tornate il sopra Barone Francesco Casotti per propria iniziativa presentò alla Commissione un nuovo suo rapporto. E fu fortuna, perché trattasi di un monumento di arte antichissimo e pregevolissimo dipinto in tavola, il quale stava per perdersi, e che, secondo narra la tradizione, è forse della stessa mano di Francesco d’Arecio, il dipintore degli affreschi del tempio insigne di S.a Caterina di Galatina. Segue la trascrizione del rapporto del Casotti, recatosi l’11 Novembre 1872 a Galatina, che propone l’acquisto della tavola al Museo Provinciale, che a quella data aveva già acquisito l’altro polittico proveniente dalle Benedettine di Lecce (chiesa di San Giovanni Evangelista)”.
In nota il Castromediano afferma che “la tavola Galatinese trovasi già nel nostro Museo, donata per squisita generosità da quel nobile Municipio di Galatina” (pp. 7-9). Si tratta dunque del polittico presente nelle collezioni del Museo Provinciale “S. Castromediano” di Lecce (Inv. N. 3442), chiaro prodotto della pittura veneziana della prima metà del ‘400 (1420 circa), orbitante intorno ai Vivarini.
Negli anni successivi il Castromediano parla a proposito del tempio gotico di S. Caterina dei lavori di Pietro Cavoti di Galatina che copiò le pitture e gli ornati, degli scritti del barone Francesco Casotti e di Cesira Pozzolini (moglie del prof. Pietro Siciliani) e scrive: “va male non solo per colpa dell’indolenza abituale dei frati che la possedevano. Ma pel tempo e pei vandalici oltraggi dei visitatori. — Anche le meteore l’ebbero di mira fulminandola e rifulminandola più volte, per cui bucate e fesse vi restaron le volte e spezzato il sepolcro di Raimondello del Balzo. La Commissione se ne è interessata per lo stato deplorevole fin dal 16 marzo 1873, scrivendo al Sindaco di Galatina invitandolo a far fare un preventivo per gli stretti lavori del solo recupero delle parti più pericolanti e malconce”.
Dopo nove mesi, il 17 dicembre, arrivò la perizia con la quantificazione della spesa preventivata in £ 1.249; detta perizia fu inviata al Ministero, che rispose il 16 luglio 1874, dicendosi favorevole al concorso per la spesa, purché la perizia fosse approvata dal genio Civile ed a patto che concorressero alla spesa anche il Comune di Galatina e la Provincia.
Intanto, scrive ancora il Castromediano, nell’autunno del 1875 ancora la deputazione provinciale non aveva espresso alcuna delibera (relazione pubblicata nel 1875, pp. 12-14) ed ancora: “Questo borgo preferirono i de Balzo-Orsini, Conti di Lecce e Principi di Taranto, i quali mutandolo fin dal 1355 nella piccola ma graziosa città che ora si scorge, nel 1390 vi restauraron di nuovo il rito latino (il rito greco era stato adottato fin dal secolo VIII, ai tempi della persecuzione delle sacre immagini) coll’innalzarvi il superbo monumento della S. Caterina — Però le innovazioni dei de Balzo non distrussero a bella prima la parrocchia greca, la quale seguitò a durare fino al cadere del secolo XV, quando cioè vi morì quell’ultimo parroco greco Nicola Schìnzari” (p. 37).
Il 7 luglio 1929 la chiesa fu restituita ai Frati Minori a cui tuttora appartiene, ottenendo infine il riconoscimento a Basilica Minore Pontificia nel 1992. La Basilica è stata sottoposta a restauri varie volte; tra i più importanti degli ultimi tempi ricordiamo quelli degli anni ’70 ad opera dell’Impresa De Bellis di Nardò, che segnarano un primo risanamento della Basilica dall’umidità (ricordo da studente di ingegneria a Napoli, negli anni ’70, di aver studiato il metodo dell’ing. Massari, proprio mentre veniva applicato per la prima volta nella Basilica), gli ultimi rivolti soprattutto ai preziosi affreschi ed alla costituzione del Museo, sono stati effettuati a partire dal 2000, a ridosso del Giubileo e condotti magistralmente a termine nel 2004 da parte dell’impresa Nicolì di Lequile.
L’ARCHITETTURA
Santa Caterina di Galatina è una tipica chiesa francescana dalle forme tardo gotiche; il rosone centrale e altri quattro piccoli rosoni riflettono la ripartizione inconsueta dello spazio interno in cinque navate. L’esame complessivo della facciata esprime una strana disarmonia nella costruzione. Le tre cuspidi sono staccate l’una dall’altra e le due laterali sono anche fuori asse sia rispetto ai portali laterali che rispetto ai rosoni minori, in relazione al fatto che, molto probabilmente, il corpo centrale ha subito nel tempo delle modificazioni. Il coronamento tricuspidato è sottolineato da archetti ciechi trilobati, motivo decorativo ampiamente utilizzato nelle forme del romanico pugliese.
La cuspide centrale termina con tre acroteri raffiguranti a destra la statua di san Francesco, a sinistra quella di san Paolo Apostolo ed al vertice la croce; il portale centrale, più alto e più grande dei laterali, è dominato dalla struttura del protiro con timpano; due colonne che poggiano su due leoni stilofori, sorreggono due aquile senza testa. Il portone d’ingresso in legno risulta incorniciato da tre fasce di pietra leccese variamente decorate con motivi vegetali e animali. Sull’architrave è il rilievo di Gesù tra i dodici apostoli, nella classica disposizione gerarchica dei personaggi, con Gesù che ha in mano il cartiglio recante l’iscrizione: Ego vos elegi ut eatis (Io vi ho scelti perché andiate).
Nella sezione superiore della facciata, la cortina muraria è interrotta al centro da un rosone i cui dodici raggi convergono in una piccola vetrata circolare policroma (l’originale è stata restaurata ed è esposta nel Museo della Basilica), raffigurante gli stemmi araldici dei d’Angiò-Durazzo e dei d’Enghien-Brienne.
Sull’architrave del portale minore destro è scolpita un’iscrizione, in greco ormai illeggibile, che recitava: “Questa è la casa e porta del Cielo”, mentre sull’architrave del portale minore sinistro è riportata una iscrizione con la data del 1391.
Nella parte a nord-est dell’edificio è situato, come già detto il coro ottagono, nei pressi del quale sorge la torre campanaria, di forma prismatica, edificata in adiacenza al muro di fondo della terza campata, a ridosso della attuale sagrestia. Il campanile restò incompleto fin dalle origini e solo più tardi fu portato all’altezza attuale. Alcuni lastroni del cornicione con gli stemmi dei del Balzo Orsini fanno supporre che, almeno fino a quella altezza, il campanile fu costruito con materiale di riporto del vecchio convento.
GLI INTERNI NELLA DESCRIZIONE DI COSIMO DE GIORGI
Venendo all’interno del monumento notiamo come due stretti deambulatori separano la navata centrale, coperta da volte a crociera costolonate, dalle laterali che sono, invece, voltate a botte ogivale. Muri di grande spessore dividono la navata centrale dagli ambulacri, che prendono luce dai due “oculi” posti al di sopra dei due portali minori. Dai tre grandi arconi degli ambulacri si accede alle due navate laterali.
La navatella di destra presenta, in direzione dell’arcone centrale, una absidiola visibile anche all’esterno; la presenza di questa sporgenza è individuata da alcuni autori come parte dell’abside di una primitiva cappella greca dedicata alla Vergine e successivamente inglobata nella nuova costruzione orsiniana, ma questo non ha mai trovato alcuna conferma reale. Pareti e volte sono ricoperte da affreschi datati al primo quarto del sec. XV, realizzati a riconferma della lotta sostenuta dai francescani contro la radicata tradizione greco-bizantina.
La preziosità della decorazione pittorica unita alla solennità dello spazio costituiscono motivo di grande emozione. Ritengo opportuno a questo punto descrivere l’interno della basilica con le parole di Cosimo De Giorgi, che, nel 1888, così magistralmente scrive (La Provincia di Lecce, Bozzetti, II, Lecce 1888, pp. 416-420): “Entriamo per la porta maggiore. Innanzi tutto resteremo colpiti dalle grandi proporzioni di questo tempio maestoso. La nave mediana, più larga delle quattro laterali, sorregge una volta divisa da cordoni rilevati che si incrociano in alto ad angolo acuto. In fondo a questa è l’altare maggiore e dietro sta il coro, del quale ora parleremo. Ma oltre l’architettura qui si debbono considerare le pitture che ne coprono le pareti interne. Noi lo faremo brevemente, accennando prima la partizione generale di questi dipinti.
La nave mediana può considerarsi divisa dai pilastri e dalle volte in quattro sezioni trasversali [La navata centrale ha luce maggiore rispetto alle laterali perché illuminata dalle finestre aperte nella parte alta delle pareti, nonché dal rosone e dalle grandi finestre del coro. N.d.r.]. Nella prima sezione, tanto sul retroprospetto della facciata come nelle pareti laterali, sono dipinte le scene più notevoli dell’Apocalisse; ed in basso sono effigiati S. Francesco, S. Domenico, S. Nicola, S.. Pietro e S. Paolo.
Nella seconda sono dipinti alcuni fatti del vecchio testamento in altrettanti riquadri e più propriamente quelli del Genesi; e nella parte inferiore S. Giovanni Battista e S. Francesco di Assisi che mostra le stimmate. In alto sono dipinti i simboli dei sette sacramenti. Qui si nota un primo vandalismo commesso dai PP. Riformati nel 1600, addossando un organo alla parete sinistra e coprendo alcune pitture del Genesi. In questa sezione si vedono due altre immagini di S.a Caterina e di un’altra santa cancellata dalle efflorescenze nitrose.
Nella terza sezione si notano in alto dei bellissimi cori di angeli intrecciati e sulle pareti i fatti del nuovo testamento; ma anche questi molto sciupati dall’umidità e dai sali nitrosi. In basso restano gli stalli di noce di elegantissimo stile del XV secolo.
Nella quarta sezione sono rappresentati in alto i dottori della chiesa e sulle pareti alcune scene che si riferiscono alla vita di S.a Caterina. Sulla parete sinistra sorge il sarcofago bellissimo di Raimondello del Balzo Orsini [in origine quasi certamente costruito alle spalle dell’altare maggiore. N.d.r.], che fu danneggiato da un fulmine il 19 ottobre del 1867. Per fortuna il professor Cavoti ne aveva già ricavato il preciso disegno; il che gli renderà agevole la via per dirigere maestrevolmente il restauro proposto al governo. Nel mezzo di esso si vede Raimondello in due atteggiamenti diversi, cioè vestito da frate e disteso su letto funerario mentre due angioli sollevano la cortina che ricopre sul davanti il corpo del defunto; e inginocchiato in atto di preghiera sulla cassa del suo cenotafio.
Indi segue il coro il quale fu aggiunto nei primi del XV secolo da Giovannantonio del Balzo Orsini principe di Taranto e conte di Soleto. In questo non vi sono pitture a fresco eccetto che gli otto stemmi della sua famiglia. In fondo al coro sorge il mausoleo di Giovannantonio Orsini nel quale è effigiato in veste di cordigliero giacente su letto funerario sostenuto da quattro colonne a fusto ottagono. Sul fregio della cassa si legge questa iscrizione: «DI PIU’ GENTILE E PIU’ PERFETTO OPRATO / NON SI DOLSE GIAMMAI SPIRTO ONORATO. 1562» (* Questa data ci farebbe supporre che il mausoleo fosse stato eretto un secolo dopo la morte del glorioso principe di Taranto: fatto non accennato sin qui da nessuno dei patrii scrittori di Galatina). [Secondo qualcuno il sepolcro, forse opera dello scultore galatinese Nuzzo Barba, venne rimaneggiato nella seconda metà del Cinquecento e, nel secolo scorso, sulla scorta delle indicazioni del Cavoti, dallo scalpellino-scultore leccese Morrone. N.d.r.].
Sulla cassa sorgono altre quattro colonnine che sorreggono un’edicola traforata, sulla cuspide della quale si vede 1’Eterno Padre in atto di benedire e sotto la cuspide vi è l’arma degli Orsini. Anche questo mausoleo fu restaurato nel 1880 per cura del professor Cavoti, togliendo una grossa patina di calce che avea ricoperto figure ed ornati, prodotta da molte e successive imbiancature. Sull’architrave si vedono i due ritratti di Raimondello e di Giovanni Antonio Orsini. Tutto il coro è di uno stile gotico elegantissimo, tanto all’esterno che all’interno. È di forma ottagonale, e rappresenta l’ultimo anelito dell’architettura archi-acuta in Terra d’ Otranto. I dossali degli stalli furono dipinti da P. Matteo da Noha, riformato, nel 1721, e rappresentano alcuni fatti della vita di S. Francesco.
Passiamo alle navi minori. Queste sono anguste e poco illuminate dalle due finestrine circolari che si vedono nella facciata sulle due porte laterali. Queste navi servono come ambulacri ed hanno in fondo, di contro alle porte, due altari. Vi restano pochi avanzi degli antichi freschi del XV secolo ed in orribile stato di conservazione. Merita però di esser notato nella nave laterale destra il dipinto di S. Antonio abate, a piè del quale vi è una figurina inginocchiata e questa epigrafe dipinta: «FRANCISCUS DE ARECIO FECIT A. D. MCCCCXXXII». Si sa di fatto dalla tradizione che Francesco d’Arezzo e Caterina da Venezia dipinsero questa chiesa nei primi del XV secolo e per incarico di Maria d’Enghien contessa di Lecce, dopo la morte di Raimondello Orsini suo marito. La figurina in ginocchio rappresenta Raimondello quale viene descritto nelle storie napoletane di Angelo di Costanzo. Nella stessa nave destra vi è l’epigrafe in onore di Raimondo del Balzo, da noi sopra riferita.
Nella seconda nave, a destra della precedente, si scorgono altri frammenti di pitture molto danneggiate dall’umidità e rappresentanti alcune leggende apocrife. In fondo alla medesima, nel lato volto ad oriente vi è l’altare di S. Francesco sotto un’edicola di stile bizantino, molto malconcia per la corrosione della pietra leccese. Recentemente in questa nave il professor Cavoti scoperse, dietro un altare addossatovi pochi anni addietro, un’abside con bellissimi dipinti a fresco, mediocremente conservati e da lui ricopiati. Queste pitture verranno alla luce appena l’altare sarà demolito. Nella stessa nave vi è infine l’altare di S. Benedetto innalzato nel 1493 dai PP. Olivetani [oggi, dopo gli opportuni restauri, possiamo ammirare questi splendidi affreschi rappresentanti il ciclo della Vita di Maria nella parte mediana della navata destra, riservata da Maria d’Enghien a cappella votiva degli Orsini. Le raffigurazioni, contraddistinte da un tono popolare, si rifanno, oltre che ai Vangeli canonici, soprattutto alla tradizione dei testi apocrifi. Tra le particolarità iconografiche, il grande pannello raffigurante la Dormitio Virginis.
Da segnalare che in fondo alla stessa navata, dove oggi è l’altare di S. Francesco d’Assisi, era in origine il cenotafio di Maria d’Enghien, poi andato quasi del tutto distrutto in seguito ad una maldestro spostamento a Lecce, dove poi se ne persero definitivamente le tracce (comunque qualche elemento architettonico, ancora in posto, si riconosce e ricorda molto da vicino il cenotafio del figlio Giovanni Antonio). N.d.r.].
Nelle due navi laterali, a sinistra della centrale, vi sono pitture del XVII e XVIII secolo che stonano orribilmente con le precedenti; vi è un altare di stile barocco dedicato alla Vergine immacolata; ed un altro del secolo XVI dedicato a S. Caterina, nel quale si ammira una bella statua della santa in pietra leccese. Vi è infine una custodia in legno di bellissimo lavoro che prima era collocata sull’altare maggiore di questa chiesa e poi nei primi di questo secolo fu tolta, quando al vecchio fu sostituito un nuovo altare marmoreo di stile barocchissimo. Noi citiamo questo fatto per biasimare l’età nostra, la quale, sprovvista di qualunque sentimento artistico, ha abbandonato al tarlo e alla distruzione un’opera d’arte pregevolissima!
E di questi vandalismi ben molti se ne osservano in questa chiesa, prodotti nel nostro e nei secoli scorsi. Molte figure sono state scrostate, e, dopo rintonacate le pareti, ridipinte; altre affatto distrutte per inchiodare dei paramenti sacri sulle pareti in alcune funzioni chiesastiche; altre abrase o coperte di nomi graffiti sul muro!
Prima di lasciare questo insigne monumento, che ben merita il titolo di nazionale col quale è stato dichiarato dal governo, aggiungeremo che in tempo non lontano dal nostro i monaci facevano vedere ai visitatori nell’armadio della sagrestia un reliquario assai prezioso come opera d’arte chiuso in teche d’argento dorato; ed un bellissimo calice figurato che ci mostrava uno dei più bei lavori di oreficeria del medio evo. Il P. Bonaventura da Lama narra che furon donati da Rainondello Orsini a questa chiesa di Galatina.
Questi due rilevanti cimelii dell’arte cristiana del XIV secolo, egregiamente disegnati dal professor Cavoti, furono poi riprodotti mediocremente in una monografia del barone F. Casotti, intitolata: Preziosi lavori di oreficeria del XIV secolo. Oggi sono custoditi da un signore galatinese, nella casa del quale ho potuto vederli ed ammirarli. Aggiungerò infine che nella stessa sagrestia vi è uno scaffale di noce intagliato elegantemente nel secolo XVI e nel presbiterio il tumulo di Clemente Mongiò del 1588”.
IL CICLO DEGLI AFFRESCHI
Dopo il 1391 una ben rappresentata équipe di affrescatori, chiamati dai principi di Taranto, dette vita ad un’opera pittorica tanto imponente da rappresentare l’episodio artistico principale del primo Quattrocento in Puglia. Tra questi affreschi, quelli illustranti l’Apocalisse rappresentano il ciclo pittorico più originale della basilica; il racconto profetico viene introdotto nelle vele della volta della prima campata e si sviluppa nel racconto in controfacciata e sulle pareti della stessa.
Anonimi sono i tre maestri principali, responsabili dei cicli maggiori (i cosiddetti: “Maestro dell’Apocalisse”, “Maestro giottesco”, “Maestro delle vele” o “Maestro dei casamenti”), mentre Franciscus de Arecio è l’unica figura operante nel cantiere galatinese che firma e data al 1432 l’affresco collocato nell’ambulacro di destra, raffigurante Sant’Antonio Abate con ai piedi il dedicante, da alcuni identificato con lo stesso Raimondello.
Diversi sono inoltre all’interno della basilica gli autori di pannelli votivi, legati ad una committenza privata, spesso attardati in forme espressive arcaiche; come già detto è indubbio che nel cantiere di Galatina si formò una vera e propria scuola da cui si irradiarono gli autori di numerosissimi affreschi di Terra d’Otranto: dalla cappella della Maddalena nel Castello di Copertino al Santo Stefano di Soleto.
E’ importante sottolineare il fatto, spesso non considerato, che nel Salento esistevano certamente scuole edilizie e pittoriche di buon livello e di antica tradizione (basti pensare alle stupende pitture delle cripte basiliane), anche se probabilmente non mancarono esperienze esterne, legate ad un ambito post-giottesco.
Si segnala inoltre la presenza nel presbiterio di una iscrizione che ricorda la sepoltura di un soldato genovese, caduto in difesa di Otranto (1480), evidenziata da Padre Antonio Febbraro, già rettore della Basilica (al quale vanno i miei ringraziamenti per le foto che mi ha concesso di effettuare all’interno della stessa Basilica e del Museo).
Riassumendo, i contenuti pittorici principali, oggi ben visibili dopo gli ottimi restauri, sono: nella prima campata il Ciclo dell’Apocalisse e nella volta il Ciclo delle Virtù: Fede e Speranza (prima vela); Carità e Prudenza (seconda vela); Fortezza e Temperanza (terza vela); Giustizia e Pazienza (quarta vela); nella seconda campata il Ciclo della Genesi e nella volta il Trionfo della Chiesa (prima vela); nelle altre tre vele sono le rappresentazioni dei Sette Sacramenti: Battesimo, Cresima, Penitenza, Eucarestia, Ordine, Matrimonio e Unzione degli infermi (ricche e interessanti si dimostrano le raffigurazioni delle architetture, sottolineate con dovizia di particolari; per parte della critica la donna coronata, raffigurata nel sacramento del Matrimonio, potrebbe essere identificata con Maria d’Enghien); nella terza campata il Ciclo della vita di Cristo e nella volta le Gerarchie angeliche; nella quarta campata il Ciclo della vita di Santa Caterina e nella volta gli Evangelisti e i Dottori della Chiesa: San Luca e San Gregorio Magno (prima vela); San Marco e San Bernardo di Chiaravalle (seconda vela); San Giovanni e Sant’Agostino (terza vela); San Matteo e San Bonaventura da Bagnoregio (quarta vela).
A S. Caterina, sulle pareti del presbiterio, è dedicato il ciclo di riquadri con la raffigurazione dei temi principali della sua vita; il racconto si ispira ad alcune leggende orientali per cui la santa, vissuta in Egitto nel IV secolo, figlia unica del re, aveva rifiutato di sposare l’imperatore Massenzio perché cristiana e votata a Cristo. Questi i temi: il matrimonio mistico, in presenza della Vergine (rovinato in seguito all’apertura di una finestra); il dialogo con l’imperatore Massenzio; la disputa con i sapienti, fatti convenire a corte per convincere Caterina ad abbandonare la religione cristiana; conversione e martirio dei sapienti; la condanna di Caterina al supplizio della ruota; l’incarceramento, la flagellazione, la decapitazione e la traslazione del corpo sul monte Sinai.
IL TESORO
Il “tesoro” della basilica orsiniana è tradizionalmente riferito alla benevolenza del principe Raimondello Orsini, il quale portò dall’Oriente numerose reliquie che donò alla comunità francescana. Intorno al 1380 il principe si era recato in pellegrinaggio in Terra Santa, sostando nel santuario dedicato a Santa Caterina d’Alessandria sul Monte Sinai, ritornando carico di icone e reliquie, per le quali fece eseguire preziosi contenitori, da parte di orafi, probabilmente salentini.
Anche se dalle prime descrizioni inventariali rileviamo che il patrimonio reliquiario aveva una consistenza ben diversa dall’attuale, il nucleo più antico delle stesse conserva ancora opere di straordinario valore; fra queste ricordiamo: il reliquiario del dito di Santa Caterina d’Alessandria, il calice orsiniano, un micromosaico del Cristo Pantocratore, un’icona ed un rilievo della Madonna con Bambino. Il tesoro attualmente ha trovato una degna sistemazione nella nuova esposizione museale presente nell’ex refettorio, decorato da affreschi tardo-barocchi (Ultima Cena e Nozze di Cana, del1692).
Legenda relativa alla Pianta
A = Navata centrale
I, II, III = Campate
IV = Presbiterio
V = Coro
Bs – Bd = Navate laterali
Cs – Cd = Deambulatori
1. Cenotafio di Raimondello Orsini
2. Cenotafio di Maria d’Enghien (distrutto)
3. Cenotafio di Giovanni Antonio Orsini
4. Cappella degli Orsini
5. Affresco S. Antonio, datato 1432
6. Affresco dei Del Balzo – Orsini
7. Presepe di Nuzzo Barba
8. Altare di S. Caterina
9. Altare di S. Benedetto
Dott. Ing. Gianni Carluccio
Lecce, 24 giugno 2011
* Pubblicato nella rivista COAST TO COAST, n.3, Luglio – Agosto 2011
COMMENTI
Melissa il 1 ottobre 2011 alle 22:20 scrive:
Salve mi chiamo Melissa e sono di Napoli; ritengo che questo sia il migliore articolo pubblicato on line e non solo, ovviamente si tratta di un giudizio circoscritto alle mie conoscenze.
Approfitto per chiedere se potreste aiutarmi a recuperare del materiale fotografico degli affreschi interni alla basilica; sono una laureanda in beni culturali e ho scelto come tesi proprio gli affreschi in questione.
Come primo step il mio relatore,il prof. F. Bologna, mi ha chiesto di procurarmi un buon catalogo fotografico, ma sto avendo un enorme difficoltà. Sono ormai 4 mesi che ci provo, tra sopralluoghi più volte a Galatina,richieste alla curia di Otranto, contatti con fotografi………sembra una missione impossibile.
Ovviamente sono disposta a pagare il materiale e a riferire al prof. Bologna coloro che mi hanno aiutata e a citarli nella mia tesi semmai ci riesca a portarla avanti. In attesa di notizie porgo i miei cordiali saluti
Santarpino Melissa
Gianni Carluccioil 2 ottobre 2011 alle 16:47 scrive:
Cara Melissa,
mi fa piacere “sentire” sul mio sito una voce napoletana (io mi sono laureato in ingegneria a Napoli nel lontano 1979) e ti ringrazio per i complimenti. Per quanto riguarda le foto, se ti servono puoi utilizzare le mie, citando la fonte e avvertendomi dell’avvenuto utilizzo.
Comunque a Galatina, presso la Basilica, pochi anni fa era in vendita un CD-rom che io ho acquistato dal titolo: BASILICA DI SANTA CATERINA D’ALESSANDRIA, la basilica, gli affreschi, il tesoro VISITA VIRTUALE – ARCIDIOCESI DI OTRANTO – REALIZZAZIONE MULTIPLA BARI (non ricordo il prezzo) che contiene tutto il repertorio degli affreschi, logicamente in formato ridotto.
Esiste poi un Volume, ricco di foto, dal titolo “LA PAROLA SI FA IMMAGINE”, MARSILIO ED. VENEZIA 2005, che io ho avuto in omaggio da parte dell’Impresa NICOLI’ che ha effettuato egregiamente gli ultimi restauri.
Pregandoti di salutare il bravissimo prof. Bologna oltre alla “mia” Napoli, resto a disposizione per tue eventuali altre richieste
Ing. Gianni Carluccio
Giuseppe Calendino il 8 agosto 2014 alle 16:15 scrive:
Gente.le Professore, ho notato che nel suo articolo, poco si dice sulla statua di Santa Caterina, e sul perché, ai suoi piedi e’ rappresentata la statua del Duca di Calabria! Potrebbe chiariti questa curiosità? Ringraziandola per il suo preziosissimo lavoro, porgo distinti saluti. Giuseppe Calendino
G. Carluccio il 10 agosto 2014 alle 20:21 scrive:
Sono a Barcellona, Le risponderò appena possibile, non prima della metà di Settembre.
Grazie per l’attenzione,
Gianni Carluccio
* In data 11.9.2014 ho provveduto a rispondere al suo quesito con una foto della statua di Santa Caterina e relativo commento. Cordiali saluti, Ing. Gianni Carluccio
Augusto Garuccio il 24 giugno 2017 alle 19:11 scrive:
Ho trovato molto interessate il suo articolo al quale sono arrivato cercando in rete una foto della Temperanza della volta della basilica di Galatina.
Il motivo può sembrare strano, ma è collegato ad una esigenza didattica e culturale.
insegno Fisica agli studenti di Scienze della Formazione Primaria (i futuri maestri) e uno degli argomenti `del corso è il calore. Oltre alla parte teorica, i miei studenti eseguono un semplice esperimento sul raggiungimento della temperatura di equilibrio tra due masse di acqua inizialmente a temperature diverse. Cerco sempre di collegare, quando posso, la fisica alle altre discipline e, nel caso dell’equilibrio termico, utilizzo l’immagine della Temperanza del Collegio del Cambio di Perugia ( con mia grande sorpresa inizialmente nessun studente riesce a collegare il gesto della Virtù di versare un liquido da un recipiente in un altro con l’idea che i due liquidi abbiano temperatura diversa e che la virtù consista proprio nel mitigare gli eccessi). Mi piacerebbe sostituire questa immagine con una che racconti anche un pezzo della cultura delle nostre parti e spero che Lei mi possa aiutare.
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