Tito Schipa un leccese del mondo. Con la bella copertina delle edizioni Manni, è così che si presenta, nel titolo, il libro. Gianni Carluccio è l’autore. Scorro idealmente un breve commento all’immagine per meglio andare, poi, a cercare come quell’infinito mondo musicale è stato raccontato dall’attento responsabile dell’Archivio Tito Schipa. Ho incontrato il’ing. Carluccio in questi giorni ed è stato lui stesso a raccontarmi. Dice, della prima di copertina: “… è nei panni del Werther…” ed è sempre lui a ricordarmi della prof.ssa Vanna Camassa, che nel 1939 cantò nel Werther con Tito Schipa al Teatro del Casinò di Sanremo ed ancora, così come in calce in seconda di copertina, a dirmi che la foto è presa dalla rivista americana “Musical Advance” del 1920.

Per quanto mi ripromettevo di fare, il cui risultato è l’attuale recensione, mi sono intrattenuto a conversare con l’autore e non ho potuto non notare con quanto vivo interesse parlasse e di quanto se ne sentiva totalmente coinvolto. Era, è la vicenda della sua famiglia, che per parte del nonno Realino Schipa, cugino del Grande, il libro ne diventa anche la dedica.

Sono più di 10 anni che dall’Italia all’America, Gianni Carluccio, cerca ed acquisisce importanti notizie di Tito Schipa. Non ultima quella di una registrazione amatoriale (della durata di circa 45 minuti) effettuata la sera del 4 novembre 1962 alle ore 20.30, presso “the Academy of Music”, di Philadelphia. Il 29 giugno 2009, racconta, si è avuta la straordinaria conferma. Tornando a quanto si potrà incontrare nel libro, già dalla prima di copertina è indubbio che, l’ascolto diretto di quella Voce, di quel Werther, non possa non aver reso evidente la sua coloritura e come questa si sfumasse con garbo e tragica poesia, a me che scrivo è toccato solo il rimbalzo. La foto è lì, la sua espressione, sebbene rivolta all’assenza delle cose, a quel suicidio, è lì a ricordarla. La prefazione, le prefazioni, sono rispettivamente di Andrea Montinari e di Tito Schipa Jr.
In entrambe vengono tracciati i simboli di Lecce, delle sue soste. Da una parte la “raccomandazione ai Signori viaggiatori” con il rievocare la lussuosa ricettività dell’Albergo Risorgimento, dall’altra la stagione lirica del 1926 al Politeama Greco.

Il libro a pag. 11 ci consegna come storia Raffaele Attilio Amedeo Schipa, nato a Lecce. Così scrive Gianni Carluccio: “al civico 6 di vico dei Penzini, nel popolare quartiere delle ‘Scalze’, il 27 dicembre 1888; verrà dichiarato all’anagrafe soltanto il 2 gennaio 1889, per guadagnare un anno sugli obblighi militari”. Scorrere le pagine è come leggere di un umile che inizia il suo percorso come una “croce data dal Padreterno”, è la voce della madre per la sua gracile costituzione. Ma in quella casa di “musicomani”, compreso Giuseppe Schipa già illustre pianista, cresce sino a diventare l’interprete indispensabile alle arie di Puccini, Rossini, Verdi, Donizetti, Schubert, Mascagli. Sarò scusato dai non citati?

Gli inizi di quella grandezza sono descritti con l’affidare quel “gracile destino” al maestro Albani, poi al maestro Alceste Gerunda. È il 1907-08 ed è, come racconta l’ing. Carluccio, già apoteosi quando è nelle mani del maestro Emilio Piccoli a Milano. Iniziando a scorrere le immagini, bella la classica ed affollata foto ricordo di scuola a pagina 12. A pagina 17 è usato-descritto quanto ci si aspetta da quella grandezza: “I trionfi di Schipa, un leccese del mondo”. Qui viene descritta la sua totale appartenenza al pianeta musica. Qui si racconta di Trieste di Buenos Aires, di Milano, del Sancarlo Di Napoli, di Rio de Janeiro, di San Paolo, l’elengo è lunghissimo. “L’usignolo d’Italia” così è definito da Toscanini, si “guadagna” l’attenzione del Nostro sino a pagina 30 dove appare, non a caso, uno Schipa brindante come nella Traviata del gennaio 1912. La biografia a pagina 31 si arricchisce di aneddoti. (pag. 33) Degli amori. (pag. 41) Delle descrizioni dei suoi soggiorni, residenza. L’attenta disamina concessa dalle settantacinque pagine di cui è composto il libro di Manni Editori, ISBN: 978-88-6266-048-8, 10 euro, non poteva che concludersi con il titolo di: “Tito Schipa a Lecce”, in omaggio alla città che è descritta: “L’eccellenza di una grande scuola […] La nascita leccese dice tutto il resto. La cadenza leccese si differenzia dal resto della Puglia. Lecce è come un’isola nella regione puglise; la pronunzia leccese dei leccesi è già un felice canto ed un limpido fraseggio.” Impossibile non rivocare il suo amato dialetto.

Gianni Carluccio con orgoglio narra di una Lecce accogliente e dipossta ad ascoltare per la prima volta il grande Tito all’età di 10 anni presso il Politeama Greco, interprete di un piccolo brano della Bohème. Chi vorrà approfondire, il libro accompagna il lettore “sulle tracce di Tito Schipa” (pag. 53), sulle sue “composizioni musicali, sul repertorio e la discografia” (pag. 57), sui “film” e “le notizie biografiche” (pag. 63 sgg.). Le foto in tutto il libro sono l’altrettanta accorta testimonanza storica. Bella quella a firma di Lumière del 1924 (pag. 71). Bello quel vergato con “gloriosissima Voce” di Gabriele D’Annunzio del luglio 1928 (pag. 68). Dai costumi alle ufficialità delle situazioni, dalle dediche ai manifesti, tutto è recitato con la stessa sobrietà e con quella stessa coloritura della voce di Tito. Sempre dalle foto, l’umanità sonora è accompagnata dalla presenza dei grandi, (dalla politica alla cultura, dalla radio alla televisione e dai giornali al cinema) del suo tempo. Non sto a citare i personaggi, i fatti o i luoghi, sono lì nel libro a rendere esaustiva la figura del grande Tito Schipa. Il libro è sfumata e garbata poesia ricordata. Un invito è leggere questo volume, promosso dal brand alberghiero Vestas Hotels & Resort. Tanto ed altro ancora si può andare a sottolineare del libro di Gianni Carluccio, ma sarà il lettore a rendersi conto della storia raccontata di Un leccese del mondo da un leccese. Concludo con quanto è scritto da Shipa Junior nell’introduzione del libro: “… nel 2000, la fortuna mette sulla mia strada un lontano cugino che si trasforma nel giro di poche ore in un vicinissimo, forse il più vicino dei collaboratori nell’ampliamento, organizzazione e gestione dell’archvio di famiglia. […] Ma qualunque sarà il destino dell’Archivio Schipa e i suopi cimeli avranno, nulla sarà stato possibile senza il contributo appassionato e disinteressato dell’estensore dell’approfondito lavoro che segue…”

17-11-2009
PAESE NUOVO
Dell’usignolo, di Francesco Pasca